A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor
Black Friday
Cogliere le occasioni sui mercati internazionali in attesa che l’Europa torni ad essere più efficiente.
L’espressione “Black Friday” ha origini incerte: si tratta del venerdì dopo la festività del ringraziamento (Thanksgiving), la tradizionale festa americana che risale al 1621, quando nella città di Plymouth, nel Massachusetts, i padri pellegrini si riunirono per ringraziare Dio del buon raccolto. Alcuni sostengono che il termine Black Friday sia nato a Philadelphia perché quel giorno le strade erano particolarmente trafficate e quindi era un “venerdì nero” per i trasporti. Altri invece lo associano al colore dei libri contabili: i negozianti li compilavano infatti a penna, usando inchiostro rosso per i conti in perdita e nero per i conti in attivo. E nel venerdì dopo il Ringraziamento, grazie alle promozioni, i conti dei negozianti erano decisamente buoni, quindi scritti in nero. Il concetto di base rimane comunque lo stesso: è un weekend prenatalizio in cui dovrebbero esserci degli ottimi affari nei negozi grazie a una scontistica eccezionale.
Anche sui mercati abbiamo al momento degli sconti importanti, in particolare la valutazione delle azioni europee rispetto alle loro controparti americane. A livello generale, ci sono tante ragioni per cui le azioni europee hanno registrato performance peggiori e sono tutte utili a giustificare questo andamento: la guerra tra Russia e Ucraina che continua, l’esposizione di tante aziende industriali a una Cina che non stimola in modo efficace l’economia, le tensioni politiche interne, le future elezioni tedesche, la probabile imposizione di dazi da parte di Trump e così via. Si potrebbero trovare altre decine di motivazioni valide.
Tuttavia, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: esistono dei settori e delle società che hanno dinamiche globali e il fatto che abbiano la sede centrale in Europa non dovrebbe essere penalizzante a prescindere. L’esempio lampante è quello dei titoli petroliferi: le major americane e quelle europee seguono dinamiche fondamentali sostanzialmente uguali. La produzione di petrolio di Exxon Mobil, ad esempio, è per il 28% localizzata negli USA e per il 72% nel resto del mondo; per Shell la produzione in Nord America è del 25% e per British Petroleum del 23%. Essendo il petrolio una materia prima globale, con dei prezzi che sono definiti non per aree geografiche ma per caratteristiche intrinseche (il contenuto di zolfo nel caso di specie), l’andamento dei titoli azionari dovrebbe essere molto simile, e così è successo fino alle elezioni americane.
Come si può vedere dal grafico, negli ultimi 18 mesi le società petrolifere americane hanno avuto un andamento molto simile a quelle europee, con un trend di prezzo affine e differenze minime. Nella parte finale di novembre, invece, si è assistito a un andamento fortemente divergente: le società europee sono scese (solo un leggero recupero negli ultimi giorni le riporta in parità per il mese di novembre), mentre quelle americane sono tornate a registrare i massimi dell’anno.
L’unica spiegazione che possiamo trovare è legata ai flussi, che continuano ad essere direzionati verso l’azionario americano, come una calamita che continua ad attrarre il denaro mondiale, spesso indipendentemente dai fondamentali. In questo caso, le dichiarazioni di Trump sulla volontà di estrarre più petrolio in USA valgono per tutti i player presenti sul mercato, anche per le major europee.
Bisogna quindi puntare tutto sull’Europa (o sui mercati emergenti, dove il discorso è abbastanza simile) a discapito degli USA? Assolutamente no, a livello macroeconomico e politico non ci sono paragoni: se pensiamo che le elezioni europee del 6-9 giugno scorso non hanno ancora prodotto una Commissione Europea in pieni poteri, riusciamo ad avere lo specchio della politica del vecchio continente e della sua lentezza, in un mondo che corre a una velocità stratosferica.
Per chi fa il nostro lavoro, ovvero selezionare i migliori investimenti in un’ottica di medio/lungo periodo, è impossibile trascurare queste divergenze, queste occasioni di investimento e queste inefficienze di mercato, che si stanno moltiplicando a causa dell’utilizzo sempre più massivo di gestioni passive che vanno a favorire i vincenti e di algoritmi di analisi che si focalizzano su dati di breve periodo.
Serve quindi armarsi di pazienza, cogliere le occasioni di questo Black Friday sui mercati internazionali e attendere il momento in cui l’Europa tornerà ad essere più efficiente. Il denaro che circola nel mondo finanziario sembra essersi fermato in una zona del mondo, ma è destinato a tornare su quelle attività che presentano il profilo di rischio/rendimento migliore.
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