A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor

Canto di Natale

Dai fantasmi del Natale all’ombra dell’inflazione: il presente e il futuro dei mercati finanziari.


Una delle novelle natalizie più famose è “Canto di Natale” di Charles Dickens (titolo originale A Christmas Carol. In Prose. Being a Ghost-Story of Christmas), pubblicata a Londra nel 1843. Mai passata di moda, sempre ristampata e ritradotta in tutto il mondo, il Canto di Natale conta moltissimi adattamenti cinematografici, televisivi, d’animazione e teatrali. È la storia di Ebenezer Scrooge, un signore anziano e avaro, che riceve la visita di una serie di fantasmi che cercano di convertirlo. Prima compare a Scrooge lo Spirito del Natale Passato, che gli fa rivivere la sua infanzia, ricordandogli l’affetto della famiglia e la felicità dei tempi in cui faceva festa in ufficio. Successivamente Scrooge viene svegliato nella notte dallo Spirito del Natale Presente, simile a Babbo Natale, che gli fa osservare alcune persone che trascorrono il giorno di Natale in pace e serenità: anche chi è in situazioni disperate gode dello spirito natalizio, accontentandosi del poco a disposizione. Infine, arriva lo Spirito del Natale Futuro, simile alla Morte, che porta Ebenezer ad assistere a diverse scene, tutte accomunate dalla presenza di discussioni sulla morte di un vecchio molto tirchio, deriso e odiato da tutti, fino ad arrivare all’immagine della sua tomba, visitata unicamente dal nipote Fred, che è comunque felice perché erediterà il patrimonio del defunto parente. Scrooge si risveglia nel suo letto, scoprendo di essere di nuovo a casa sua, e cambia approccio alla vita, diventando generoso e amichevole.

Anche sui mercati finanziari stiamo vivendo l’arrivo di un fantasma: l’inflazione, che come conseguenza si porta dietro a cascata la politica monetaria delle Banche Centrali, i tassi di interesse e, infine, l’andamento delle borse mondiali.

Lo Spirito dell’inflazione passata ci ricorda quanto accaduto nel periodo post-Covid: dopo diversi anni caratterizzati da un’inflazione molto stabile nell’intorno del 2% (simile al periodo felice dell’infanzia di Scrooge), le chiusure cinesi e le conseguenti tensioni sulle catene di fornitura hanno portato la crescita dei prezzi a toccare un picco del 9% a metà del 2022, che si è mantenuto su valori elevati per oltre due anni. Questo ha spinto le Banche Centrali ad alzare in modo aggressivo i tassi.


Fonte: Bloomberg

 

Lo Spirito dell’inflazione presente ci fa vedere come l’inflazione sia sì rientrata, ma si sia stabilizzata su valori più vicini al 3% che al 2%: sembra poco, ma non lo è. Un punto percentuale di inflazione in più ogni anno in maniera strutturale porta, grazie alla legge dell’interesse composto, a un incremento dei prezzi al consumo dopo 10 anni di 14 punti percentuali e, dopo 20 anni, di 32 punti. Al momento ci accontentiamo di aver raggiunto il 3% dopo aver visto valori nettamente superiori, ma servirebbe ancora un ultimo passo per tornare ai valori storici dei momenti di stabilità.

Lo Spirito dell’inflazione futura, invece, ci fa pensare a cosa può succedere nei prossimi anni e il ventaglio delle possibilità è ampio. Potremmo tornare in un mondo con un’inflazione stabile al 2%, ma la deglobalizzazione e l’introduzione di dazi non lo rendono lo scenario al momento più probabile. Potremmo assistere di nuovo a una fiammata inflattiva, guidata da una crescita economica più forte del previsto, ma anche questo non sembra probabile, visto che diverse aree del mondo sono vicine alla recessione e dato che la Cina ora sta esportando deflazione nel mondo. Lo scenario più realistico è quello di una accettazione temporanea (ma di durata indefinita) da parte dei decisori della politica monetaria USA di una inflazione più vicina al 3%, in modo da non toccare il delicato equilibrio di crescita economica e di un mercato del lavoro solido.

Il meeting della Fed dei giorni scorsi ha dato l’impressione che la Banca Centrale torni a tenere maggiormente d’occhio l’inflazione piuttosto che il mercato del lavoro e la crescita economica: è in corso una forte revisione della misura principale dell’inflazione, il PCE (che è salito dal 2,1% al 2,5% come aspettativa per il 2025) e si attendono i prossimi dati sul CPI, in arrivo il 15 gennaio. La reazione fortemente negativa del mercato azionario è stata probabilmente più legata a fattori tecnici di iper-comprato e di iper-concentrazione: nelle ultime due settimane l’indice americano è infatti salito solo grazie a pochi titoli e si tratta dei “soliti sospetti”, ossia delle “Magnifiche 7”, con Broadcom in sostituzione di Nvidia.

S&P Contribution Past Two Weeks


Fonte: Nomura Quant Analytics

 

Gennaio è storicamente un mese positivo per i mercati azionari. L’inizio del 2025 non è dei migliori tra rischio di shut-down del governo americano per il raggiungimento del tetto del debito, tassi in salita e forti performance nel 2024 che hanno portato le valutazioni a livelli elevati. Dovremo quindi navigare a vista e prepararci a una volatilità che negli ultimi mesi abbiamo dimenticato come gestire: la grande domanda per il 2025 sarà inoltre se il mercato continuerà a premiare poche aziende o se ci sarà un allargamento della platea dei vincenti, necessaria per rendere sostenibile il rialzo di questi mesi.


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