A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor

Il risveglio

Ritorno alla realtà per i mercati.


Il risveglio è la fase di ritorno alla veglia, lo stato di coscienza in cui il pensiero e i sensi sono attivi ed è possibile l’azione volontaria, in contrapposizione al sonno, durante il quale si percepiscono immagini e suoni riconosciuti come apparentemente reali: i sogni.

In questo inizio d’anno i mercati finanziari si stanno risvegliando: stanno tornando alla realtà, mentre finora hanno vissuto un sogno, fatto di dichiarazioni e aspettative.

La prima doccia fredda dell’anno, in realtà, è legata a dati positivi: il mercato del lavoro in USA ha generato a dicembre 256.000 nuove occupazioni, contro aspettative di 156.000, portando la disoccupazione al 4,1%. Questo mette in discussione la narrativa del soft landing, del rallentamento macroeconomico e della riduzione dell’inflazione che può consentire alla Fed di tagliare i tassi e sostenere i mercati azionari (la cosiddetta Fed put, ossia quando le cose peggiorano, arriva la cavalleria: la Banca Centrale taglia i tassi e aiuta le borse). La prima verifica importante ci sarà il 15 gennaio, con un dato atteso sull’inflazione al consumo del +3,3% (escludendo food&energy). Dovessimo avere un dato superiore alle attese, si rimetterebbe tutto in discussione: già siamo scesi da tre tagli Fed per il 2025 a uno solo e quindi, se dovesse sparire anche la Fed put, ci troveremmo con una gamba di supporto in meno sui mercati.

Il secondo fattore che ci fa tornare alla realtà è rappresentato dalle dichiarazioni del Presidente eletto Donald Trump: fino al momento dell’inaugurazione (il 20 gennaio alle 18:00 italiane) sono solo le parole di una persona che tra poco diventerà la più potente al mondo, ma che rimane ancora un cittadino, sebbene con prerogative e privilegi particolari. È possibile quindi attaccare a parole la Groenlandia, Panama, il Canada, la NATO e il governatore della California sugli incendi, ma il giorno in cui siederà nello studio ovale non potrà più solo parlare, dovrà agire. E anche la sua storia passata dimostra che un conto sono le parole e un conto sono i fatti: il Segretario al Tesoro di Trump, Scott Bessent, in un’intervista dello scorso ottobre ha definito strategia l’escalate to de-escalate, ovvero l’alzare volontariamente i toni per indurre il termine di un conflitto tramite la negoziazione. Dunque siamo in attesa di capire quale sarà la realtà dell’amministrazione Trump in termini di dazi, richieste agli alleati e interventi sulle tasse.

Un terzo contributo arriva dall’Inghilterra: con un tasso decennale vicino al 5% e un trentennale al 5,4%, il più alto dal 1998, il premier Starmer, nonostante una schiacciante maggioranza in Parlamento, si trova già in difficoltà, pressato non tanto da Elon Musk, ma dal mercato finanziario che richiede tagli di spesa al Cancelliere dello Scacchiere (l’equivalente del ministro del Tesoro in Inghilterra), Rachel Reeves, per mantenere la fiducia degli operatori.

Infine, vediamo la Cina aprire il 2025 come peggior mercato al mondo, perdendo circa il 5%, con il decennale che continua a segnare nuovi minimi di rendimento e la Banca Centrale che ferma gli acquisti per bloccare la svalutazione della valuta e per cercare di convincere gli operatori che non è in atto una spirale deflazionistica, che replicherebbe quanto avvenuto in Giappone dagli anni Novanta in poi.

Il periodo di bassa volatilità e di tranquillità fatta di dichiarazioni, a cui non seguono azioni, è quindi finito: il VIX, l’indice della paura, è tornato vicino a 20 dopo il calo di novembre a seguito dell’elezione di Trump e difficilmente scenderà significativamente. È dal 20 di dicembre che siamo in un periodo di tensione latente e ora ci troviamo davanti delle date chiave che potranno determinare il sentimento dei mercati.

Del rilascio sui dati di inflazione (15 gennaio) e dell’inaugurazione di Trump (20 gennaio) abbiamo già parlato. A seguire avremo i meeting della Fed (29 gennaio) e della BCE (30 gennaio), con le conferenze stampa dei banchieri centrali che potranno aiutare a capire come bilanciare la necessità di tenere sotto controllo l’inflazione, ma contemporaneamente di sostenere l’economia, che in Europa in particolare sembra più debole.

In Europa si aspettano le elezioni tedesche del 23 febbraio per capire quanto l’ascesa dei partiti nazionalisti possa continuare e, soprattutto, se c’è la possibilità di un cambio di passo che Mario Draghi continua a chiedere e che sembra necessario per rimanere un continente vivo e non schiacciato tra Oriente e Occidente.

Nel frattempo gli occhi degli operatori sono tutti sul mercato obbligazionario: finché non troveremo un livello di stabilizzazione (in tanti parlano del 5% sul decennale USA, ma si tratta solo di un numero rotondo, non di qualcosa derivante da formule o correlazioni) continueremo a ballare.


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