A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor
La teoria del folle
La logica del caos tra geopolitica e mercati.
La teoria del folle (Madman theory) è una dottrina militare statunitense associata alla politica estera adottata dal presidente Nixon tra gli anni ‘69-‘74. In realtà le prime tracce si trovano già nel 1500 quando Niccolò Machiavelli ne Il Principe suggerisce che un sovrano può trarre vantaggio dal simulare la follia per confondere e intimidire i nemici. Secondo Machiavelli, la politica non si basa su una morale assoluta, ma sull’adattabilità e sulla capacità di manipolare la percezione degli altri. Un leader che appare imprevedibile e pronto a decisioni drastiche può scoraggiare gli avversari senza dover ricorrere all’uso esplicito della forza.
Le idee di Machiavelli prendono spunto anche dalle massime di Sun Tzu, il generale e stratega cinese vissuto nel V secolo a.C.. Ne L’Arte della guerra, Sun Tzu descrive l’inganno e l’imprevedibilità come strumenti chiave per la vittoria: «Quando sei vicino, devi far credere di essere lontano; quando sei lontano, devi far credere di essere vicino».
Secondo l’autore la guerra, così come la politica e la diplomazia, non è solo una questione di forza bruta, ma anche di intelligenza strategica. Creare confusione e incertezza nel nemico può essere più efficace di un attacco diretto.
Nella storia esistono diverse applicazioni di questa teoria, basata sulla volontà conscia di sembrare matti e far credere al nemico di essere irrazionali e pronti a tutto per disorientarlo e forzarlo alla negoziazione. Gengis Khan, Ivan il Terribile e Napoleone Bonaparte nelle loro gesta politiche e militari sono stati esempi lampanti della teoria del folle.
Gli studi più approfonditi sul tema sono stati effettuati di recente sulla base della politica estera di Richard Nixon, 37° presidente americano, famoso per lo scandalo del Watergate ma anche per un importante cambio di passo nella politica estera che, assieme al Segretario di Stato Henry Kissinger, portò al ritiro graduale dalla guerra del Vietnam.
L’essenza della teoria del folle parte dall’assioma che la geopolitica è un gioco di influenze, percezioni e deterrenti. Chi la utilizza spinge a creare un’immagine di imprevedibilità per instillare paura forzando gli avversari a trattare in modo cauto, poiché insicuri di quanto ci si possa spingere oltre. È necessario quindi sembrare irrazionali e imprevedibili e lo si fa creando un senso di caos con quattro elementi: asimmetria informativa (controllo di quello che l’avversario conosce), comunicazione eccessiva (invio di segnali contraddittori per creare confusione), guerriglia cognitiva (inondare la mente dell’avversario per evitare che possa formulare una risposta chiara) e inaccessibilità totale (non lasciare trasparire le reali motivazioni). Non si tratta solo di sembrare pericolosi o pazzi, ma di essere certi che nessuno abbia una visione completa.
Anche alcuni leader moderni ricorrono proprio a questa strategia. Attualmente la politica americana genera tensioni su tematiche legate in particolar modo ai dazi e alla guerra commerciale.
Tra poco arriverà il Liberation day (il terzo dichiarato da Trump, i due precedenti sono avvenuti il giorno delle elezioni e il giorno dell’inaugurazione): il 2 aprile verranno imposte ufficialmente tariffe e dazi a diversi Paesi per penalizzare le merci estere negli Stati Uniti.
Gli operatori di mercato ormai hanno fiutato l’utilizzo di questa strategia: anche il Segretario al Tesoro Scott Bessent prima di entrare nell’amministrazione Trump aveva dichiarato che la strategia sarebbe stata “Escalate to de-escalate”, ovvero alzare i toni e spingere allo scontro per poi negoziare. Oggi, in vista del 2 aprile, ci si aspetta un aumento dei dazi alla Cina e alcuni dazi per determinati settori in Europa e nel resto dell’Asia, mentre si prevede una riduzione delle tensioni con Messico e Canada.
Superato il Liberation day non avremo però chiarezza su ciò che il mercato vuole. Verosimilmente potrà essere un “trampolino di lancio” verso nuove negoziazioni rispetto al cosiddetto clearing event, la rimozione delle incertezze e la definizione di numeri chiari e definitivi sulle tariffe. Questo vuol dire che le incertezze e di conseguenza i rischi sulla crescita economica rimarranno. Sarà centrale definire a che livello e quanto verranno scontati dai mercati azionari.
Infatti, tra i 103 ordini esecutivi emessi da Donald Trump da inizio anno (il doppio rispetto a quelli di Biden) non compare ancora nessuna menzione circa il taglio delle tasse per le aziende, che servirebbe a compensare l’aumento dei costi delle importazioni e a stimolare il ritorno a produrre localmente negli Stati Uniti.
Siamo quindi in un momento di malessere per i mercati azionari: incertezza sulla crescita economica, sul commercio globale e sull’impatto dei dazi sui margini aziendali. Il primo trimestre si chiude con una perdita per gli indici americani come non accadeva dal 2022, quando il rialzo dei tassi aveva colpito le valutazioni e si era incerti sulle conseguenze che avrebbero avuto sull’economia. In quel caso, il risvolto è stato minimo e ciò ha permesso agli indici mondiali di registrare forti performance nei due anni successivi.
Risulta centrale in questo momento capire se questa situazione possa avere un impatto significativo sulla crescita economica, portando ad un rallentamento o addirittura a una recessione, oppure se le ripercussioni saranno limitate. Purtroppo, non avremo una risposta ancora per diversi mesi, a meno che questo “tira e molla” sulle tariffe non porti alla frenata improvvisa di investimenti e consumi.
È da diverso tempo che consigliamo di tenersi pronti a fasi di paura ed eccitazione, con piccole notizie o singoli dati macroeconomici che possono far cambiare rapidamente opinione sulla fase del ciclo e di conseguenza portare a forti cali o rapidi rimbalzi. Ad oggi è necessario mantenere la mente lucida e pensare controcorrente, lasciando aperti tutti gli scenari che al momento possono realizzarsi con probabilità molto simili.
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