A cura di Angelo Meda, Responsabile Azionario di Banor

Quartino o foglietta?

Quale che sia, l’effetto è comunque un rallentamento macroeconomico.


Il quartino era una antica unità di misura, equivalente alla quarta parte di un’altra. Nel collettivo comune si pensa al quartino di vino, ovvero 25cl (la quantità massima considerata dalla comunità medica a basso rischio per gli adulti in salute), ma in alcune città la quantità era diversa: ad esempio a Torino equivaleva a 0,34 litri.

In finanza invece in questi giorni il dibattito è se mercoledì la Fed taglierà di 0,25% (il quartino, ovvero il quarto di punto percentuale) o di 0,50% i tassi di interesse, iniziando un percorso di riduzione per stimolare l’economia in fase di rallentamento. Oggi i future sui Fed Funds scontano un taglio di 0,41%, quindi si posizionano a scontare il 60% di probabilità di un doppio taglio e un 40% di probabilità di un singolo taglio.

Leggendo la stampa finanziaria americana degli ultimi giorni e gli studi macroeconomici usciti dopo i dati sul mercato del lavoro, sembrerebbe più plausibile uno 0,25%, ma il mercato sta spingendo per un maggiore stimolo.

Esistono infatti diversi economisti e membri votanti della Fed che preferirebbero una spinta anticipata: i tassi sono molto alti, l’inflazione sta rientrando velocemente e l’economia dà segnali di rallentamento. Perché dunque rischiare una nuova crisi delle Banche Regionali o, peggio ancora, un problema sull’immobiliare?

Altri invece preferiscono la prudenza, indicando come il rallentamento non sia ancora così importante e che l’inflazione non è ancora completamente sotto controllo.

Pensiamo che sia un ragionamento sterile: 0,25% o 0,50% cambia poco all’economia reale, specialmente nel breve termine. In quanti si sono accorti nei propri conti (aziendali o personali) in Europa, ad esempio, del taglio di 50 punti base fatto dalla BCE nel corso del 2024? Si sono già visti gli effetti? Possiamo tranquillamente dire di no: la politica monetaria ha effetti immediati sui mercati finanziari, ma sull’economia reale richiede del tempo per essere trasmessa.

Vedremo quale sarà la scelta della Fed: leggeremo il comunicato stampa ufficiale, confronteremo il dot plot (il grafico dei puntini che rappresenta le aspettative di tasso dei vari membri della Fed per i prossimi tre anni e nel lungo periodo) e sentiremo la conferenza stampa di Powell, ma il messaggio importante è che stiamo entrando in un periodo di rallentamento macroeconomico e che le Banche Centrali stanno togliendo il piede dal freno, abbassando i tassi.

Per il momento non servono altri stimoli. Siamo arrivati al punto di corda di una curva (che possiamo immaginare essere l’inflazione) e dunque non bisogna ancora premere sull’acceleratore, ma solamente verificare la tenuta di strada per percorrere la parte finale, rilasciando pian piano il freno e verificando che non si sbandi troppo da un lato o dall’altro.

Nel breve periodo il fattore di rischio è la riduzione di liquidità: la fine del trimestre, che porta a un aumento dei depositi da parte delle banche presso la Banca Centrale, che si accompagna alla pausa dei programmi di buyback aziendali prima dei risultati trimestrali, e l’arrivo di importanti scadenze fiscali in USA (l’anno fiscale per il governo degli Stati Uniti termina il 30 settembre), hanno sempre generato un assorbimento di liquidità che porta volatilità sui mercati.

Se combiniamo questa riduzione di liquidità con la notizia del taglio dei tassi, già ampiamente scontata dal mercato, e con la mancanza di grandi dati macro e microeconomici per le prossime due settimane, possiamo ipotizzare che queste ultime saranno volatili e spinte più dalle emozioni che dai dati reali. Rimaniamo poi in attesa che si ricominci con gli utili aziendali ad ottobre e si cerchino i segnali di conferma del rallentamento macroeconomico che, come già segnalato in passato, può portare a scenari recessivi o a scenari di stabilizzazione, determinando i rendimenti attesi per il 2025.


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